Siamo alla seconda serata di approfondimento, a questa esposizione che avete appena colto; L'OMBRA DELL'ANGELO qui a presentare parallelamente un nuovo testo di Gilberto Isella, sei suoi racconti editi da Giampiero Casagrande a sua volta presente con l'autore GILBERTO ISELLA che certo non ha bisogno di presentazione; nato a Lugano nel 1943, è poeta critico letterario, autore teatrale, traduttore e non per ultimo per noi artisti visivi vivo di un cipiglio, con attenzioni strutturali rari nel cogliere la dimenione del visibile come ampia visione che non esclude la poesia, la filosofia, la letteratura, la musica e lo stesso teatro ancorato come è; a noi esseri, ma con quell'immaginazione attiva di cui parlava Carl Gustav Jung, o nella dimensione letteraria Paul Vallery o Marleau Ponty. Qui un nesso tra LA FURIA DELL'ANGELO che andiamo a presentare e l'esposizione che Gilberto Isella ha anche presentato, assieme alla sottoscritta, che come sua abitudine, osa un tema ed allestisce generando intesa, ebbene la complessità ci unisce lì dove regnano linguaggi mai banali, temi scottanti, colmi del tessere segno come fattore umano. Tessere linguaggi attorno al senso, sensi, come al sogno, o alla visione, generare tagli di mondo , parafrasando un titolo di Gilberto; toccare la liricità, ma anche difesa, rabbia, impossibilità, o meglio denuncia, impasse, ragione, logica, desiderio, proiezione o reazione e dubbio...certo spiritualità, dimensione mitica e abbracciare forze della mistica religiosa, perché no. Quali moti d'animo o d'ogni psiche e forse da qui...prende forma quell'ombra o quella furia di cui un poco parleremo. Gilberto so che soprattutto vorrai presentare due tuoi racconti, LA MOSSA DEL RINOCERONTE e CUFFIE DESERTE. Prima di entrare in merito va detto il libro lo racconta, nasce durante il periodo pandemico...il Dio Pan non ha ruolo ma chissà...

A mio avviso non è apocalittico, ma piccoli abissi quotidiani le comprende, abissi, abitati da abiti insoliti, la stessa casa, il suo spazio-tempo; Forse una riflessione sulla nudità, per parafrasare Paul Vallery che va ricompresa, nella psiche come nel corpo ...Nello spirito come nella materia. Una volontà sacra che ci abita come gli stessi elementi, ma spesso non gli riconosciamo necessità, o quella primaria e necessaria adesione alla nostra realtà sensibile o del sentire e non mentire... Chi non sogna ha l'alibi della realtà diceva Adorno...ed ora mi taccio.

La prima domanda come riconduci questi tuoi racconti a quel periodo indomito?

 

A Giampiero l'editore, leggendolo oltre l'autore hai riscontrato formule attorno all'invisibile, amicizia e intuito e realtà stanno sempre portatori di accadimenti...

 

La premessa della mossa del rinoceronte...qui abbiamo la cameretta la mossa del cavallo...non centra nulla con Camilleri e nemmeno con Gilberto Isella, certo il rinoceronte ancora più del cavallo è staturio e simbolico, in asia come in africa, è ricoperto come da un armatura terrena, pensate nidificano certi uccelli sul suo d'orso...Mi piace leggere uno degli incipit che hai inserito prima dell'avvio del racconto...di Goethe...aforisma sulla natura

 

Cuffie deserte...ancora il suo incipit...di Edmond Jabès ( 1912-Cairo Egitto-1991 a Parigi)

" Terre d'altro mare che il sole strappa alla meditazione alle spine/pinne del dubbio"

A seguire la partenza di una recensione di Amman

 

 

 

Si tratta di sei racconti brevi ma intensi (preceduti da una nota in cui si cita L’angelo necessario di Massimo Cacciari, Klee e Licini) dove Isella ci offre un saggio delle sue formidabili capacità di pensiero e composizione. La lista completa dei racconti è così formata: La riconquista della casa, Nel segno di Eolo, Scale a parte, La mossa del rinoceronte, Cuffie deserte e Tempo libero alla corte di Ferrara.

 

 

E l’angelo dov’è? Esso irrompe sotto vari e insospettabili aspetti, ora del mappamondo che trasformato in sfera virale perlustra il vano (La riconquista della casa) ora di Eolo (cfr. Heine, Gli dèi in esilio) inaspettatamente intervenuto a disperdere ovunque il sacco-monumento delle foglie raccolte, forse indicando l’ekpyrosis come altro genere di protezione: non resterà nulla di nulla. Simile dissoluzione è la cifra costante del libro. In Cuffie deserte, attorno al fantasma della città di Sodoma “maledetta da Elohim” e dall’“immane archivio storico sepolto sotto dure rocce e sabbie”

LA RECENSIONE
Gilberto Isella nel suo labirinto
Nei racconti de ‘La furia dell'angelo’, editi da Giampiero Casagrande, eventi inspiegabili costringono i personaggi a guardare le cose con altri occhi
L’autore con Loredana Müller
(@Alessandro Margnetti)
3 novembre 2023
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Immaginiamo che il Lettore e la Lettrice di ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’, messa su casa e unite le rispettive librerie, si perdano improvvisamente in un groviglio oscuro di eventi, tra certezze che crollano, perplessità irrisolvibili e lievi imprecisioni che mutano la forma e il senso delle cose. Immaginiamo poi che l’ideatore di questi incubi, Gilberto Isella, ne affidi la regia a creature misteriose, messaggeri dell’invisibile, forze che da dimensioni insondabili planano nel mondo della manifestazione per aprire gli occhi e liberare le limitate menti umane dai luoghi comuni e dalle verità di comodo che risparmiano la fatica di pensare, e che per raggiungere lo scopo si divertano a creare scompiglio, seminare dubbi, provocare traumi, turbamenti, scosse. Immaginiamo infine che sia lo stesso Isella a guidarci tra i racconti de ‘La furia dell’angelo’, raccolta edita da Giampiero Casagrande, e che lo faccia in una sera piovosa a Camorino, negli spazi accoglienti di Areapangeart, la galleria, atelier, centro culturale di Loredana Müller e Gabriele Donadini che è anche casa, rifugio e ritrovo per gli amici, alla presenza di artisti, insegnanti, lettori, sotto l’indecifrabile sguardo di oscure divinità indiane che sgomentano l’empio usurpatore di queste righe.

Un folletto shakespeariano

È un piacere ascoltare Isella, e chissà quale spettacolo quotidiano avrà offerto agli studenti del Liceo cantonale di Lugano, in cui ha insegnato letteratura italiana: invidiosi dei suoi ottant’anni portati con noncuranza, lo vediamo saltellare divertito tra le sue stesse pagine, creare collegamenti inattesi tra simbologie, riferimenti all’attualità e suggestioni da innumerevoli letture, provocare (e un attimo dopo scusarsi), puntualizzare, aprire botole nascoste, far entrare fasci di luce da spiragli strettissimi, mentre Casagrande, con l’aria sorniona e appagata di un felino, si gode lo spettacolo d’arte varia di questo poeta, critico letterario, traduttore e folletto shakespeariano alle prese con l’inconcepibile ricchezza dell’Invisibile, che l’angelo, ricorda l’introduzione citando Cacciari, testimonia e rivela. Vediamo dunque il Lettore e la Lettrice aggirarsi nei labirinti in cui l’Isella-Dedalo li ha imprigionati, obbligandoli, grazie a circostanze eccezionali, a ridefinire i rapporti con le cose, l’ambiente, la vita di tutti i giorni.

Costretti da un blackout a rinunciare alla comodità dell’ascensore per raggiungere l’attico in cui abitano, si avventurano per le scale del condominio, scoprendo personaggi, appartamenti, persino animali e piani fantasma, di cui non sospettavano l’esistenza: “Il quarto piano è un terribile cubo spaziale autistico, il paradosso di un luogo in quanto luogo reale, la cifra di un mondo perduto. Il quarto piano non esiste!”. Un horror vacui, in uno scenario che ricorda le righe finali del ‘Gordon Pym’ di Poe: “Ci sembra di aver raggiunto uno spazio, come dire, svuotato di suoni, colori e pensiero, uno spazio scenico imponderabile. Trionfa il bianco in ogni angolo, sul pavimento privo di piastrelle, sui muri dei corridoi esterni. Ed è il bianco che spaventa...”. Così come spaventa questa salita che sembra una discesa, in un passaggio tra i mondi che comprende anche l’inferno, nel non più così familiare palazzo che ora ha la forma di una piramide rovesciata.

Cabala e messaggi segreti

Oppure è il confinamento coatto, imposto per contrastare la pandemia, a indurre la coppia a riprendere confidenza con gli spazi e gli oggetti di casa, che vengono sistemati, definiti, catalogati. Con i libri si ripropone il problema che ogni bibliomane conosce bene: “I libri vanno sistemati in base alla loro dimensione oppure al loro valore culturale, ai temi trattati, alla tinta della costola, alle date di stampa? O non sarebbe meglio privilegiare l’ordine alfabetico degli autori? La coppia trascorre quelle ore tra assilli teorici, spostamenti e sostituzioni, nonché convulse modifiche di ripiani e vetrine, con la sensazione però, a meriggio avanzato, di non aver risolto nulla. Il riassetto generale, per certi versi elegante, risulterà alla fine caotico”.E soprattutto non eviterà, ma al massimo rimanderà, la sorpresa finale. Ora eccoli invece in vacanza in Israele, dove ogni granello di sabbia, ogni mattone di edificio sacro, persino i nomi degli alberghi (che significano Bellezza, Bontà) sono cifre cabalistiche, pezzi di un puzzle, inviti a decodificare messaggi segreti. Qui il labirinto è, borgesianamente, il deserto: “Accumulo di tracce che non hanno direzione, orientamento. Attimi molli, subito abdicanti nel cortile delle nostre emozioni. Forza della terra nuda che ti trattiene e nel contempo espelle dal suo grembo, ti getta nella specchiera della disparizione”. In un mondo ritratto come discontinuità soggetta alla legge del mutamento, lo specchio contiene e assorbe, finendo così per non riflettere nulla, se non lo smarrimento.

Studenti alle prese con l’Orlando Furioso

Ancora più destabilizzante, in un altro racconto, il sospetto che la Lettrice (che in questo caso si chiama Giovanna, richiamando personaggi della mitologia cristiana: il Battista decapitato o l’evangelista che identifica Dio con il Verbo) sia il prodotto di un algoritmo, un fantasma, una creatura generata, come nel ‘Solaris’ di Lem, dai desideri o dalle paure del Lettore, tra camaleonti che collassano liquefacendosi e contraffazioni del labirintico Escher. La chiave è nell’aforisma di Goethe citato in esergo al racconto: “Occorre una certa duttilità di spirito, per comprendere nel suo modo più proprio la realtà informe, e saperla distinguere dalle chimere, che tuttavia si impongono vivacemente e con una certa parvenza di realtà”. Non basterà dunque il pensiero che, insegnano i filosofi arabi, tutt’al più distingue le singole forme nella generalità.

Nell’ultimo racconto il Lettore, liberatosi dell’illusorio ologramma, impersona un insegnante intento a rendere digeribili le ottave dell’Ariosto. In questo caso, l’elemento perturbante è la fisiologica sfrontatezza degli allievi: “La barriera autodifensiva del giovane, composta di ellissi verbali e soprattutto gesti inequivocabili (dallo sbadiglio allo sbuffo) è – sovente – tale da disorientare e paralizzare l’insegnante alla stregua dello sguardo di Medusa che muta l’uomo in fredda pietra. In fondo non è autodifesa, è attacco in piena regola. Una castrazione all’inverso, si potrebbe dire. In tali circostanze, il mio binomio ‘spiego e seduco’ si lacera come un palloncino”. Sarà un fatto della vita, una dolorosa irruzione della realtà tra la fuga di Angelica e i malefici incanti della maga Alcina, tra la poetica dei gabinetti e la riabilitazione dello sbadiglio, a frantumare, per una volta, il muro studentesco. Ma non le pareti del labirinto, che invece rimangono intatte, granitiche ed enigmatiche, come l’angelo di San Domingo su fondo blu di Osvaldo Licini, che dalla copertina del libro sembra ridere di noi.

Gilberto Isella, La furia dell’angelo, Lugano, Giampiero Casagrande, 2023.

 

È qualcosa su un tavolo che vede,

di una forma la radice, come di questo frutto,

un fondo, l’angelo al centro di questa buccia,

 

guscio di Cuba, smeraldo con i ciuffi,

lui stesso, forse, l’x irriducibile

in fondo a un artificio immaginato,

 

suo abitante e narratore eletto.

 

The Necessary Angel

Wallace Stevens

 

Si tratta di sei racconti brevi ma intensi (preceduti da una nota in cui si cita L’angelo necessario di Massimo Cacciari, Klee e Licini) dove Isella ci offre un saggio delle sue formidabili capacità di pensiero e composizione. La lista completa dei racconti è così formata: La riconquista della casa, Nel segno di Eolo, Scale a parte, La mossa del rinoceronte, Cuffie deserte e Tempo libero alla corte di Ferrara. I più inquietanti fra loro li trovo in La mossa del rinoceronte e Cuffie deserte. Col primo avvertiamo una sensazione di smarrimento, poiché il cangiare delle varie inquadrature scuote dalle fondamenta ogni mezzo di afferrare chi siamo e da dove veniamo. Inoltre, non è dato comprendere se il personaggio principale sia parassitato dal succedersi delle scene metamorfiche o le produca lui stesso, tantomeno se la sua compagna Giovanna sia reale nel senso in cui si usa questo termine, o “il prodotto di un algoritmo”.

 

E se la donna che amo e forse mi corrisponde, la mia cara Giovanna, non fosse altro che il prodotto di un algoritmo? Peggio. Se si trattasse di un maschio, addirittura di un mio antenato? Nell’ora in cui tolgo la sordina agli umori e al sentire – di primo mattino – torna il rovello che ogni giorni mi strapazza […] Avverto dentro il mio ego colui che da tempi remotissimi sta tramando alle mie spalle. Si rifà vivo al risveglio. Promana, suppongo, da un cellulare ingovernabile, sotto forma di insidioso moto vibratorio. Dopo aver urticato per qualche istante l’immaginazione, la sua improbabile icona, per fortuna, precipita nel vuoto. Cosa senza contorni. Allora distendo la pelle della mente, tento di ridar colore alla mia presunta faccia ideale, sempre più infoschita. Quell’avo femmineo mi fa pensare a una maschera carnevalesca appiccicata al volto di un’età irredenta. Micidiali i suoi rimasugli, fatti di punte. Come se la volta celeste lasciasse pendere, nel mio foro interiore, piccole stallatiti corrose. Angeli le affileranno, magari, conferendovi brillìo. Ma da ignota cavità infera i demoni contraccambieranno con nere stalagmiti, spingendole verso l’alto. Mi raggelo, presagendo l’inevitabile cozzo.

 

Nel corso della narrazione assistiamo a un défilé di immagini oniriche, rispetto al mondo esterno, benché la vantaggiosa differenza finisca col dissolversi a causa di continue eccedenze e distorsioni volte a escludere qualsivoglia separazione fra esterno e interno (anche quando in stallatiti bianche e stalagmiti nere appare il ridotto dualismo dell’angelo e del demone, uno sintomo dell’altro) come del resto nulla permane in sé e per sé, o per via di gerarchiche ipostasi. Saremmo ancora fortunati, se vedessimo staccarsi e roteare dai quadri di Ieronimus Bosch le sue allucinate figure e non l’indefinita e proliferante iconicità di uno spaventoso metaverso che nel coinvolgere spazi e tempi esclude ogni punto stabile, ogni principio d’individuazione, proprio come se tutto fosse libero di tradire le leggi fisiche…

 

Il paesaggio è un intreccio di girandole multicolori. Forse il calco irriverente di un mandala tantrico, oppure un complicato caleidoscopio dove una certa figura ama esibirsi per motivi che lei sola conosce…

 

 

Mi sforzo di aggrapparmi al mobilio circostante, tenere i piedi saldi sul parquet. Ma presto i listelli si sfasciano, pavimento e arredo scivolano via, le pareti s’incurvano e la camera intera si affusola, trasformandosi progressivamente in uno sbalorditivo ponte che si avvita su se stesso, un ponte a spirale, dagli scatti felini. 

 

 

 

Con il richiamo all’antenato animale, ci si potrebbe chiedere se questo ponte non rappresenti, appunto, la spirale di un ferino DNA…

 

Raccolgo una piuma bianca di condor, potrebbe trattarsi del rapace che mi ha guidato fin lì. Porta inciso un nome: Giovanna. Poi la piuma s’annerisce e si gonfia. Diventa via via un plico di molecole pronto ad annettersi, spinto dai morsi della fame, altri spezzoni di vita.

E infine tutto si incurva in un punto interrogativo che, accampandosi in cielo, andrà a dissolversi, ritengo, dietro i crinali e i cavalloni.

 

Qui potremmo anche supporre che la croce apparsa a Costantino con le parole in hoc signo vinces, si sia trasformata nel punto interrogativo da dove si sviluppa la catena delle incertezze inerente alla demoniaca molteplicità contro ogni rassicurante univolto, per cui crollerebbe anche l’idea dell’uomo fatto a immagine di Dio. Non per nulla in questa girandola dell’intelligenza artificiale riesce difficile distinguere l’umano dal ferino. Giovanna, che lavora presso la luganese Horn & Rhino Invest (i due nomi richiamano il rinoceronte) enuncia: “Non aver paura degli animali, sono i nostri avi provvidenziali”. Anche il misterioso oggetto che gli inservienti consegnano al protagonista, è uno “schermo-bestione” dalla cui finestra si legge “Rhinoceros, HRI” (acronimo dell’azienda, certo, ma anagrammando “rinoceronte” si ottiene, con INRI, quello del crocifisso) mentre appare anche la figura di un decapitato che come San Dionigi “tiene la propria testa tra le mani. Sul petto una scritta radiosa: “S. Iohannes.”

 

Santo o presunto tale, quella figura per me è donna. Risalta una macchia vagamente conica sulla fronte. Materica e robusta, immagino che possa attrarre a sé, come magica calamita, i numerosi corpi rappresentati nell’opera del Luini, compresi Cristo e i ladroni.

 

Il racconto si chiude, infatti, col sogno dell’anonimo eroe, il quale intende occupare “nel maxi-computer dell’affresco” di Bernardino Luini la croce del ladrone, ma a quel punto fa la scoperta “che un’ulteriore croce le sta accanto [in cui] scorge vagamente Giovanna e il suo temibile doppio, l’ungulato”.

 

Qua, come il lettore avrà modo di comprendere, si tratta di un texte plurielle, con le sue intertestualità, dove Isella joue au Texte e joue le Texte (Roland Barthes) come quando si dice “suona il violino” nel senso per cui anziché eseguire e descrivere, l’io narrante – e narrato – interpretata i segni o tenta di farlo, anche perché Giovanna-San Giovanni

 

tiene nascosta ogni notizia utile dentro quei maledetti apparecchi protetti da account, l’unica soddisfazione che mi concede sono fotografie del suo corpo stropicciato. Mai però che io ne scorga il contesto geografico, magari qualche strano albero, un’insegna, un cartello stradale o lo scorcio di una casa che mi ragguaglino su luoghi precisi.

 

Inoltre “sotto i portici di via Nassa”

 

c’è qualcosa nell’aria che disorienta. Non incontriamo persone, solo ologrammi che sembrano finiti lì per un misterioso convegno. Attraversano magari i nostri corpi?

 

E l’angelo dov’è? Esso irrompe sotto vari e insospettabili aspetti, ora del mappamondo che trasformato in sfera virale perlustra il vano (La riconquista della casa) ora di Eolo (cfr. Heine, Gli dèi in esilio) inaspettatamente intervenuto a disperdere ovunque il sacco-monumento delle foglie raccolte, forse indicando l’ekpyrosis come altro genere di protezione: non resterà nulla di nulla. Simile dissoluzione è la cifra costante del libro. In Cuffie deserte, attorno al fantasma della città di Sodoma “maledetta da Elohim” e dall’“immane archivio storico sepolto sotto dure rocce e sabbie” filtrano

 

echi di spedizioni e sanguinose battaglie, ribollimenti del cavalcare e battersi: ruote ittite e assire, frecce partiche, gagliardetti tolemaici e romani. L’antenna iperbolica s’attiva in ciascuno di noi. Ma non è che per pochi battiti di palpebra, poi il fantastico s’incancrenisce. Svaniscono chimere, voci e cuffie d’ascolto divorziano, rimangono acufeni indeterminati. Fuggifuggi degli incantesimi, tinte e suono omologati nel baulone del nulla.

 

Cuffie deserte si conclude, in corsivo, con questa onirica cauda:

 

 

Basso lumacume invischia le nostre affondanti calzature, afrore di mollusco attenta le zone alte del fortino corporeo, o quel che rimane di esso. Sentiamo il risucchio delle gambe nei calcagni, il cigolio cadenzato delle vertebre dorsali, nessuna delle quali sta ferma al suo posto. Squittio in sordina. Si formano intercapedini. Tra le vertebre passa un volo di pipistrelli, finché ci prende voglia arcana di separarci da noi stessi […] Il carro si arresta al limitare di una massa di organismi violacei, si svuota. Si svuota di noi, i felici.

Felici perché il nostro dissolversi, per quanto accumuli densi vapori e caligini, è corollario di vita. Fieri di trasformarci in riserva paludosa, biotopo dal volto capriolante.

 

I riferimenti a computer, ologrammi, metaverso e onirismo suggeriscono l’idea che noi si appartenga da sempre all’intelligenza artificiale di un misterioso Elohim, fors’anche ingegnere genetico. In quanto allo stile o alla maniera, la scrittura di Isella è ritmica, basata su frasi brevi in continui ed energetici décalages che non lasciano più spazio alle nuances, sostituite da irrefrenabili e angosciose metamorfosi.

 

 

Silvio Aman